Quando avevo nove anni, come compito estivo di catechismo, la suora ci chiese di leggere alcuni brani del Vangelo. Da brava bimba, a cui piace ricevere le lodi dei grandi, obbedii, iniziando metodicamente dal primo capitolo di Matteo. La lettura in breve tempo iniziò ad appassionarmi, non per le profonde implicazioni esistenziali di quei versetti, che ancora non ero in grado di apprezzare, ma come mero romanzo di una vita, sebbene ne conoscessi già la conclusione. E così continuai anche quando capii che avevo abbondantemente superato le richieste del compito assegnato.
Fu così che mi imbattei nel versetto di Luca 11:13: "… il Padre vostro celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono">1. E con la fiduciosa semplicità che solo un bambino possiede, iniziai a chiedere tutte le sere a Dio che mi mandasse il Suo Spirito.
Dopo poco, però, iniziai a rimanere in disappunto dall'apparente silenzio di Dio, mentre iniziavo ad assaggiare le prime inquietudini dell'adolescenza. Ora so che semplicemente i tempi non erano ancora maturi per me.
Ben presto mi dimenticai del tutto di quella preghiera… ma il Signore Gesù no!
A tredici anni avvenne il mio primo incontro con la morte.
Fu come un fulmine a ciel sereno, perché una notte, senza nessun precedente segnale, mio nonno ebbe un infarto. La mamma mi svegliò raccontandomi che era stato male e io chiesi: "Beh, adesso sta bene, giusto?". Vagamente nella mia testa c'era l'idea che si potesse morire, ma tutti quelli che conoscevo erano sempre guariti e quindi perché per il nonno doveva essere diverso?
È quasi imbarazzante scrivere che quando mi fu spiegato che era morto non provai nulla, se non sconcerto. Non riuscivo veramente ad afferrare quel concetto.
Fu solo al funerale, quando vidi quella cassa chiusa che non faceva passare aria, perché semplicemente di aria mio nonno più non aveva bisogno, che iniziai a provare dolore. E ancora di più, nei mesi successivi, quando sperimentai che la morte voleva dire punto di non ritorno.
Un pensiero angoscioso fece allora capolino nella mia mente: mio nonno sarà in paradiso o all'inferno? Non era perfetto, questo lo sapevo, ma pensarlo in un tormento eterno mi era insopportabile. Così finii per rifugiarmi nell'idea di un consolante purgatorio e, in concomitanza con la fine del catechismo, come tanti altri adolescenti, mi allontanai da quel Dio che spediva la gente all'inferno.
Mi impegnai con tutte le mie forze a diventare atea!
Ma in questo veramente fallii, perché in fondo a me sentivo che non potevo non credere a Qualcuno, seppure dai tratti molto vaghi e indefiniti.
In questo stato, arrivai a sedici anni a provare il mio primo vero innamoramento (non ricambiato :( !). Il ragazzo in questione aveva il più bel paio di occhi verdi che abbia mai visto e io mi squagliavo come neve al sole ogni volta che lo incontravo. Ma più importante, non so se per vera fede o per tradizione familiare, frequentava assiduamente la messa e il gruppo giovanissimi di Azione Cattolica. Per inseguirlo ero disposta a tutto e quindi entrai anch'io nel giro, facendo nuove amicizie e, soprattutto, riaprendo vecchi interrogativi e bisogni.
Veloce come era venuta, la cotta giovanile se ne andò. Ma non il mio bisogno di risposte da parte di Dio.
Divenni molto attiva in parrocchia facendo catechismo, aiutando nelle sagre, frequentando l'Azione Cattolica e, naturalmente, partecipando regolarmente alla Messa.
Non che tutto fosse facile e appianato, tutt'altro! Mille dubbi brulicavano nella mia mente: ma perché Dio non ci ha perdonati senza sacrificare Gesù? Aveva bisogno di tutto quel sangue? Una brava persona va in paradiso anche se non crede? Cosa succede se mi capita un incidente stradale e non mi sono confessata? Perché gli ingiusti prosperano e i giusti soffrono?
Parlavamo molto di queste cose con gli amici della parrocchia. Alcuni avevano le idee più confuse delle mie, altri sembravano aver tutto chiaro in mente, ma non sapevano fornirmi delle spiegazioni convincenti. Quando aprivano bocca mi sembravano solo dei sempliciotti, troppo ingenui per vedere che tutto era un gran mistero irrisolvibile.
Naturalmente, questo impegnava solo molto parzialmente il nostro tempo e i nostri pensieri, perché, come tutti gli adolescenti che si rispettino, la maggior parte dei nostri sforzi era concentrata sulla scuola, sui divertimenti e nel cercare un partner.
In quarta superiore, il programma di filosofia affrontava, naturalmente, la Riforma Protestante. E una concomitanza di cause, fece sì che vi riflettei con molta più attenzione di quanto di solito si faccia.
Sebbene su alcune cose fossi perfettamente d'accordo con le idee dei riformatori (rifiuto della tradizione, delle immagini nell'adorazione, delle preghiere ai Santi), la salvezza per grazia mi sembrava una beata scemenza. Ma vi pare che Dio sarebbe tanto ingiusto da far andare in Paradiso solo per fede, senza che uno dimostri di meritarselo almeno un po'??? Bisognava essere folli solo per pensare una cosa del genere.
Tuttavia ero turbata da quel versetto: "… Il giusto vivrà per fede" (Romani 1:17) che era la bandiera di Lutero. Chiesi, perciò, al prete di prestarmi un libro che spiegasse l'interpretazione cattolica della lettera ai Romani e me lo studiai… senza capire quasi nulla :) ! Mi riavvicinai quindi alla Parola di Dio e, con una lentezza che oggi sorprende persino me stessa, ripartii dove mi ero fermata anni prima: le lettere.
Questo mio nuovo interesse era anche fomentato dal continuo confronto con i Testimoni di Geova che puntualmente si presentavano a casa. Imparai grazie a loro a districarmi tra i versetti e, soprattutto, a cercare le risposte lì dove Dio le ha poste: nella Bibbia.
Sebbene tante loro osservazioni mi mandavano in crisi, non riuscii mai veramente a seguirli, perché proprio la Parola di Dio mi convinceva sempre più della Divinità di Cristo:
"… Gesù venne loro incontro e disse: 'Salve!'. Allora esse, accostatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono." (Matteo 28:9)
"Io e il Padre siamo uno" (Giovanni 10:29)
"… Io sono la via, la verità e la vita …" (Giovanni 14:6)
"… Chi ha visto me, ha visto il Padre …" (Giovanni 14:9)
"Allora Tommaso rispose e gli disse: 'Signor mio e Dio mio!'." (Giovanni 20:28)
"… in lui [Cristo] abita corporalmente tutta la pienezza della Deità." (Colossesi 2:9)
"… Dio è stato manifestato in carne…" (1 Timoteo 3:16)
Stretta tra la chiesa cattolica romana e i testimoni di Geova, inutile dire che diventai di un legalismo incredibile. Cercavo di attenermi scrupolosamente ad ogni prescrizione, ma, siccome d'altra parte sentivo Dio più lontano che mai, stavo anche ben attenta a non andare mai oltre quello che pensavo fosse il minimo indispensabile. Ad esempio, andavo a Messa tutte le domeniche, ma non il lunedì dell'Angelo, perché non è canonico. Facevo la comunione solo a Pasqua perché è il minimo richiesto dal catechismo della chiesa romana.
Ben presto mi trovai lontanissima da Dio, pur continuando ad essere una cattolica "praticante".
Tuttavia quell'esperienza fu molto importante, perché mi mostrò nei fatti che è impossibile davvero piacere a Dio con i propri sforzi.
La dimostrazione più eclatante, l'avevo con la confessione. Attenta a non comunicarmi mai in "peccato mortale" (e possibilmente neanche "veniale"), iniziai a confessarmi il sabato precedente a quando intendevo comunicarmi. Ma spesso una sera mi era sufficiente per peccare, considerando che il peccato si annida anche nei meandri più oscuri dei nostri pensieri ("…perché ho molto peccato in pensieri, opere ed omissioni. Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…"). Allora iniziai a confessarmi immediatamente prima della Messa e, poi, cercando di non parlare con nessuno (e nemmeno di pensare!) attendevo impazientemente il fatidico momento della Comunione e finito quello stress uscivo pensierosa.
E se avessi avuto un incidente mortale senza essermi confessata dieci minuti prima? Cosa voleva Dio da me per essere salvata?
Quello che Gesù ci richiede è: "… 'siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro, che è nei cieli'." (Matteo 5:48).
Niente poco di meno che?!! Non c'era qualcosa di vagamente crudele in questo comandamento? Non è come mettere uno zoppo davanti a un anello di atletica e chiedergli di correre una corsa ad ostacoli?
Ma Gesù farà saltare gli zoppi…
Ora non pensate a me come ad un'asceta medioevale o un giovane Lutero che si autoflagella nella sua celletta! Tutt'altro: questi dubbi stavano molto infondo alla mia coscienza, coperti, quasi soffocati, dalle piccole questioni di tutti i giorni: lo studio, il lavoro, le vacanze, etc.
Iniziai a rifletterci più compiutamente verso i ventitré anni, quando il nuovo prete iniziò a parlare sempre più insistentemente di "grazia del Signore". Quella parola cominciò a frullarmi nella testa e con queste premesse arrivai a un incontro organizzato dai carismatici, al quale ero obbligata ad assistere durante il corso pre-matrimoniale organizzato dalla parrocchia.
In una sera del novembre del 1999, quindici anni dopo quella preghiera infantile, il Signore mi ha inviato il suo Spirito. Sentendo parlare di Gesù che sulla croce ha scontato i nostri peccati, ho provato improvvisamente una gioia incredibile, come se una chiave avesse improvvisamente fatto scorrere un meccanismo incastrato.
Una frase pronunciata da uno dei carismatici mi rimarrà sempre impressa: "Se io vi raccontassi i miei peccati, voi uscireste di qua senza ascoltarmi, ma io sono qui a parlare per dirvi che Gesù li perdona con il suo sacrificio".
Ecco qual era la chiave! Starsi a torturare sui peccati commessi, sul comportarsi bene, etc. era solo una forma di raffinatissimo egoismo e superbia! Gesù ha fatto già ciò che era necessario per riparare ai nostri danni e io dovevo solo crederci!
La mia vita è cambiata per sempre. Era avvenuta quella che diversi gruppi evangelici, prendendo spunto da Giovanni 3, definiscono la "nuova nascita". E, esattamente come la nascita carnale, quella spirituale era avvenuta senza una capacità di ragionamento e di autoanalisi. Come un neonato esce senza poter parlare, ma solo guardare stupito al nuovo mondo che sfocato gli si presenta innanzi, così senza termini per definirla, senza sufficiente conoscenza biblica per capirla, la mia nuova nascita spirituale mi ha buttato tra le braccia del Padre.
Solo dopo qualche tempo ho preso piena consapevolezza che la pretesa grazia distribuita dalla chiesa cattolica romana attraverso i sacramenti non voleva più dire nulla per me, perché avevo sperimentato quella vera, dispensata dal Signore Gesù a chi glielo domanda.
Morale della favola?
Non sono stata certo qui a scrivere tutti i fatti miei per sport, ma solo per portare una testimonianza al Vangelo di Cristo che è lì per chiunque lo voglia accettare.
Vi chiederete: ma adesso sei perfetta? Adesso ti sei tolta tutti i tuoi dubbi? No!
Non saprei spiegarvi il perché un maremoto in Asia ha ucciso o lasciato orfani tanti bimbi, mentre tanti ingiusti prosperano e provocano sofferenze al prossimo. Però so che, nonostante ciò, Dio ci ama e un giorno in questa o quell'altra vita avrò le risposte che cerco.
Adesso Lui non è più un Qualcuno vago, ma è il Signore Gesù morto e risorto per me. Ora so che andrò in paradiso, perché non dipende più dalla mia capacità di fare o non fare, ma dalla promessa di Dio.
E il paradosso più buffo?! Pur essendo tutt'altro che perfetta, ora riesco a fare senza secondi fini opere migliori di quando cercavo di "acquistare" il paradiso: la serenità di una figlia spinge più lontano della paura di un'imputata :) !
Se sei pieno di dubbi, se non riesci proprio a credere, ti chiedo di provare a fare un solo piccolo sforzo: chiedi al Signore di donarti il suo Spirito, magari anche confessando la tua poca fede. Vedrai che nessuno tuo piccolo sospiro sarà perso. Magari per anni ti sembrerà che non ti succeda niente e ti sentirai un po' sciocco per questo momento di debolezza. Ma vedrai che il Signore Gesù se ne ricorderà, quando il tuo tempo sarà maturo!
NOTA:
Tutte le citazioni della Bibbia sono
tratte dalla traduzione "Nuova Diodati" 1991/'03, ed. La
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